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"DUETTO.HO CHIUSO GLI OCCHI E HO MANGIATO"

Duetto. Negli intestini di Maria Callas
DI SIMONE NEBBIA 22 MARZO 2013 NO COMMENT

C’è una stanza buia e c’è un racconto. Nello spazio incosciente, amniotico di un’attesa c’è qualcosa di sinistro e vigile che si insinua strisciante. Una nuvola di palloncini bianchi suggerisce una dimensione simultanea di stasi e movimento: immobile l’immagine dal vivo, fluttua l’immagine proiettata di un uccellino che canta, chissà se gioia o lamento. A uno sguardo d’insieme ogni cosa parrebbe tendere verso l’alto. L’aria, il canto. Ma nello sguardo panoramico è il particolare che scompagina ogni predizione: uno dei palloncini, caduto o mai salito in volo, è rimasto a terra, schiacciato dall’altezza degli altri, inchiodato a una condizione cui mostra di avere forse ceduto. È allora che in un campo più largo ci si accorge di due donne, l’una su un alto trono rivolta di fronte, l’altra di spalle in fondo alla stanza, speculari e opposte, le lega un velo bianco a farle inscindibili, come dello stesso metallo sono due facce – l’una all’altra ignote – della stessa moneta. Le due donne, come i palloncini, compongono la relazione fra la grande cantante lirica Maria Callas e la tenia che pare abbia ingerito per dimagrire. Nel loro dialogo immaginario fatto di monologhi concentrici si affaccia una pericolosa simbiosi, si fa indissolubile la loro relazione e la tenia assume i caratteri di una presenza immanente e non più eludibile. A farle dialogare sono Chiara Condrò ed Elisa Turco Liveri, insieme sul palco di questo Duetto (Ho chiuso gli occhi e ho mangiato), dalla penna di Antonio Moresco.Un velo bianco dunque le unisce, uno strascico quasi da sposa (realizzato da Daniele Ferranti) conclude nel vestito dell’altra. Un lungo guanto nero, uno soltanto, le fascia a braccia alterne e cori polifonici potenziano il suono della loro (sua?) voce. Già, perché una bocca proiettata sui palloncini si moltiplica in suoni ed espressioni diverse (e quindi appunto suoni), ma che non appaiono mai divisi, come mai una bocca è disgiunta dalle altre. Sotto una luce tenue puntata sulle due protagoniste, come un cono da primattrice diffuso e disperso, pian piano la tenia guadagna il terreno che la vedrà sostituirsi alla cantante. Solo allora si prenderanno per mano, dal guanto nero, si accetteranno e la tenia potrà salire sul trono, presentarsi in proscenio a godere degli applausi. Ma il suo protagonismo è duraturo? Una tenia scava dentro fino al punto di mangiare anche una voce e dirla propria?
Turco Liveri e Condrò curano il testo di Moresco amplificandone il carattere sinistro, gli accenti macabri di una vicenda che si fa metafora pur mantenendosi fortemente ancorata a elementi concreti: l’ospite interiore ha dunque insieme un’anima tangibile, quasi clinica, e una invece fantasmatica, compresente. L’uso delle luci di Giovanna Bellini a bassa gradazione e con pochi cambi; le installazioni video di Salvatore Insana che, imprimendo immagini diverse su schermi vicini, rintracciano gli effetti di rimando e sviluppano un altro piano di significato; anche l’uso degli oggetti poveri e smagriti si impone minutamente come una scelta efficace di ideazione e composizione.
Una nuvola di palloncini bianchi in una stanza buia. È l’immagine di Maria Callas, l’ultima ad apparire impressa su quello schermo improvvisato, l’ultima e prima, la grande cantante che riconquista in qualche modo il suo palcoscenico. Ma in basso, ancora, il palloncino inchiodato dalla gravità si torce, un’anima inquieta si rimesta nel suo gonfiore, le luci si stanno spegnendo e tra poco anche l’aria, lì dentro, di certo finirà. Ma gli uccelli conoscono le vette con le ali, non con la voce. Sarà allora che Maria Callas, senza più cantare, inizierà a volare. Simone Nebbia

QUOD SUPERERAT

Al CrashTest vince la favola nera

Alessandra Agosti VALDAGNO

È andata a "Quod supererat" di e con Elisa Turco Liveri e Chiara Condrò, la vittoria alla prima edizione di CrashTest, concorso di teatro contemporaneo nato a Valdagno dall'intesa fra l'associazione Livello 4 e l'Assessorato alla Cultura del Comune e svoltosi lo scorso weekend al Palalido. Ultima delle cinque compagnie a salire sul palcoscenico, la formazione romana - completata da Manuel Cascone - ha dunque convinto la giuria, che non ha comunque avuto vita facile nell'aggiudicare i 1500 euro messi in palio dal concorso, soprattutto per la notevole diversità delle proposte presentate: in gara, oltre ai vincitori, si sono infatti visti nO (Dance first. Think later) in "Non vedo l'ora!", 7/8 chili in "Bramo", Carlo Massari e Chiara Taviani in "C & C - Corpo & Cultura" (tutti di scena sabato e recensiti ieri) e Macelleria Ettore in "Elektrika_un'opera techno", di scena domenica. 
Una vivace discussione di oltre mezz'ora è stata necessaria allo scrittore Vitaliano Trevisan, agli attori Patricia Zanco, Pino Costalunga e Piergiorgio Piccoli, ai giornalisti Antonio Stefani e Andrea Pocosgnich e alla responsabile dell'Ufficio Cultura valdagnese Michela Rossato per arrivare al verdetto: "La compagnia - questa la motivazione - ha scelto di assumersi il rischio di confrontarsi con una fonte letteraria complessa, tentando di contemperare vari elementi espressivi e di contenuto, ricavandone un quadro di stridente atmosfera, meritevole di essere ulteriormente approfondito. [...]"Ma veniamo a "Quod supererat", che riprende la favola nera "Le due zitelle" scritta nel '43 da Tommaso Landolfi. La vicenda ruota attorno alle sorelle Nena e Lilla, che conducono un'esistenza gretta, animalesca, ostentando una religiosità plateale e una castità rabbiosa. Nella loro casa-gabbia, unica creatura viva (e di sesso maschile) è il cercopiteco Tombo, che si macchierà però di sacrilegio, venendo per questo condannato a morte e giustiziato, tra i barlumi di una ritrovata umanità, proprio dalle due sorelle. 
Prova convincente sul versante recitativo, pur se ancora bisognosa di qualche limatura sul fronte registico, che ne renda più fluido lo scorrere.



Martedì, 25 Ottobre 2011 09:42

Elsa, ed è subito teatro


Scritto da  Francesca Paolini

ROMA- Al piccolo Teatro Studio Uno di Torpignattara, Chiara Condrò e Elisa Turco Liveri hanno portato una loro personale rielaborazione di alcune opere di Elsa Morante - Menzogna e sortilegioLa storia e brani dei diari - con lo spettacolo a cavallo tra letteratura e teatro dal titoloElsa (disegno luci di Giovanna Bellini, con la collaborazione artistica diEdoardo Cianfanelli e Salvatore Insana).

I testi scelti, pur trattando di vicende avvenute nel medesimo momento storico del periodo tra le due guerre mondiali, presentano visioni opposte dal romanticismo più classicheggiante del romanzo borghese al realismo novecentesco. Scopo del lavoro di queste giovani autrici ed interpreti è quello di raccontare la donna Elsa Morante, attraverso la focalizzazione di alcuni dei suoi intensi personaggi femminili.
Apre la scena iniziale una scrivania con sopra una macchina da scrivere, richiamo al carattere metanarrativo di tutto lo spettacolo che è, in definitiva, il racconto in scena di racconti. Alla macchina da scrivere una delle interpreti, mentre l’altra girata di spalle e seduta accanto fa da eco a ciò che la prima scrive sul foglio. Iniziano i ricordi contenuti in Menzogna e sortilegio in cui spicca soprattutto il primo incontro tra Elisa ed Edoardo che sancisce l’incipit di un rapporto malato, in cui è la donna a soccombere, romantica e ingenua, alle umiliazioni di un uomo narciso e spietato. Si assiste ad un susseguirsi repentino di brani alcuni interpretati completamente e altri letti, anche se le attrici non si limitano mai alla sola lettura da leggio, aggiungendo il tocco interpretativo come quando indossano ognuna una maschera per passare dall’essere Voce Narrante a Personaggio. Nella prima parte si passa spesso dai dialoghi alla scrittura delle memorie, la parte più interessante da inventare teatralmente e che le due autrici hanno affrontato con un brillante e riuscito incastro delle due voci, quella della memoria che ricorda e quella dei fatti ricordati.
Per quanto riguarda La storia, il punto di vista è quello del realismo, della Roma martoriata dagli avvenimenti bellici che la protagonista Ida vive sulla sua pelle con tutte le vicende dello splendido romanzo. Spunta la parlata romanesca e la dimensione del ricordo svanisce a favore dell’azione, struggente come la scena in cui Ida cerca il figlio Useppe pregando di essere catturata insieme a lui, gridando le proprie origini ebree. Intensa è anche la scena in cui viene assaltato dalle affamate donne del quartiere un carico di farina, e con le gonne alzate a fare da cestino ognuna ne piglia il più possibile inscenando una sorta di baccanale per l’eccitazione di poter rimediare qualcosa da mettere nello stomaco per un po’.
Uno dei risultati che più risaltano è che la sequenza di brani e scene si pongono come un racconto dal sapore surreale, nonostante i romanzi presi in considerazione siano, lo ribadiamo, di stampo tradizionale e realistico. È l’inevitabile visione contemporanea dell’individuo ereditata dal Secolo Breve che si allunga fino ai nostri giorni. L’intento di voler raccontare la “persona“ Elsa Morante, per quanto reale questa sia, non può produrre altro che frammenti accatastati, visioni multiple e scomposte. La voce con il Novecento si è rotta ed è lo stesso processo che in fondo mette in atto l’autrice con i suoi due romanzi presi per costruire questo lavoro.
Elsa è uno spettacolo traboccante di teatralità: sa riscaldare di vita i personaggi di carta privilegiando le voci femminili forti della propria ironia nonostante un destino tragico.

Francesca Paolini